Il design in metropolitana:
un'occasione (quasi) persa
Gli autori-artefici-progettisti contemporanei avrebbero dovuto iniziare quantomeno a riflettere prima di agire
Caro Schiavi, scrivo a proposito della triste vicenda della Metropolitana Milanese e dell'allestimento di Albini-Helg (Piva) con Noorda oggetto di «restyling» (non sopporto questo termine), «rifacimento», «ristrutturazione» o più propriamente «atto vandalico» senza che nessuno prenda una posizione concreta, a parte coloro che sono riusciti a tutelare le due stazioni Amendola Fiera (MM1) e Caiazzo (MM2). Mi schiero con Italo Lupi, Federico Tranfa e Mario Piazza, autorevoli portavoce su questo delicato tema; avverto comunque la mancanza di altri illustri colleghi. Non sono ancorato a nostalgie del passato; sono consapevole che dopo più di quaranta anni di totale incuria si debba intervenire su questo «non luogo» così importante da essere vissuto, seppur obbligatoriamente, da migliaia di persone ogni giorno. Ma come? Franca Helg sosteneva che nel fare progettuale vi sono più dubbi che certezze: da questo importante insegnamento, a mio avviso, gli autori-artefici-progettisti contemporanei avrebbero dovuto iniziare quantomeno a riflettere prima di agire. Ormai «il dado è tratto» (quasi non ci credo) e vien proprio da citare Dante, (Inferno, III) rivolgendosi a coloro che hanno potere, gestiscono la cosa pubblica e ne sono responsabili.
Daniele Mariconti
[...]«Questi non hanno speranza di morte, e la lor cieca vita è tanto bassa, che 'nvidïosi son d'ogne altra sorte. Fama di loro il mondo esser non lassa; misericordia e giustizia li sdegna: non ragioniam di lor, ma guarda e passa». (Dante, Inferno, III)
Caro Mariconti, questa dei rifacimenti in corso nelle stazioni della metropolitana è una questione che in alti tempi avrebbe dato una scossa adrenalinica alla Milano del design. Ne abbiamo parlato a proposito di Garibaldi, per l’errore nella dicitura della fermata, e per Lanza, con i mosaici una tantum: poi è scesa in campo «Striscia la notizia» e Carlo Bertelli ha chiesto un timeout. Il fatto strano dell’intervento è la sua frammentazione e il mancato coinvolgimento da parte di Atm di Bob Noorda che quella segnaletica l’aveva ideata. Il grafico che per questo ricevette il Compasso d’oro (poi ha fatto la segnaletica del metrò di New York) aveva a suo tempo suggerito una serie di accorgimenti: non sono stati rispettati. Non siamo nostalgici, ma Parigi, i suoi segni estetici sui metrò, se li coccola e li mantiene. Perché da noi non è così?
Giangiacomo Schiavi
19 marzo 2009
Corriere.it