Sul finire del X secolo San Giovanni Vincenzo, un discepolo di San Romualdo, inizia quassù la vita eremitica. La scelta del luogo è certamente condizionata dall'imponenza, dalla predisposizione al sacro del monte Pirchiriano e dalla preesistenza di una colonia eremitica sul monte Caprasio.
Alle soglie dell'anno mille irrompe, in quest'eremo di Giovanni Vincenzo, un personaggio che cerca redenzione da un discutibile passato: è il conte Ugo (Ugone) di Montboissier, ricco e nobile signore dell'Alvernia, recatosi a Roma per chiedere indulgenza al Papa. Questi, a titolo di penitenza, gli concede di scegliere fra un esilio di 7 anni e l'impresa di costruire un'abbazia.
Siamo negli anni
983-987 quando inizia l'edificazione del monastero, affidato poi a cinque monaci benedettini.
Tramite l'iniziativa di Ugo di Montboissier e il sistematico reclutamento di abati e monaci in Alvernia, sul Pirchiriano si sviluppa un punto di sosta per pellegrini di alto livello sociale, quasi un centro culturale internazionale.
L'ambizione autonomistica è viva fin dall'inizio della storia del monastero, preoccupato di sottrarsi alla giurisdizione dei vescovi di Torino: in particolare nel secolo XI i monaci, con il loro più famoso abate Benedetto II, si schierano decisamente in favore della riforma centralistica romana. Ottenuta presto l'autonomia e l'indipendenza dall'autorità temporale e da quella del vescovo, l'abbazia, grazie ad un'ampia e intensa ospitalità, può favorire gli scambi non solo di ordine pratico ma di profondo significato spirituale, che contribuiscono a creare il patrimonio comune di una grande civiltà religiosa. È in questo periodo che la Sacra estende i propri possedimenti in Italia e in Europa, sui quali esercita diritti spirituali, amministrativi, civili e penali.
Dagli inizi fin verso la prima metà del 1300 il monastero vive la sua stagione più favorevole sotto la guida degli abati benedettini, alla quale segue mezzo secolo di decadenza.
Nel 1379 il malgoverno dell'abate Pietro di Fongeret, induce Amedeo VI di Savoia (il conte Verde) a chiedere alla Santa Sede l'abolizione della figura dell'abate monaco, cui si sostituisce quella del commendatario. Con la nomina dei commendatari incomincia l'agonia del monastero: dal 1381 al 1622 i monaci furono governati da priori, mentre gli abati commendatari, sempre lontani dal monastero, ne godevano le rendite. Uno di essi, il cardinale Maurizio di Savoia, nel 1622 convinse Papa Gregorio XV a sopprimere il monastero, abitato ormai soltanto da tre monaci.
Le rendite che servivano al mantenimento dei monaci furono destinate alla costruzione della Collegiata dei Canonici di Giaveno, i quali successero agli scomparsi monaci negli obblighi verso il monastero: a loro appartenne la cura e il servizio del Santuario fino al 1629.
Così ebbe fine il potente ordine benedettino della Chiusa, dopo una vita di più di seicento anni.
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