Mindthegap, ha per caso a che fare con questo

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Chechi col martello sull’incudine
L’Italia ricorda l’Avvocato
E tutti aspettano l’ingresso della Ferrari
9/2/2006
Silvia Garbarino
TORINO. L’uomo che martella un’incudine è immagine antica, con un ventaglio di pensieri e fantasie, forza e mito. Se fossimo al cinema, quella che raccontiamo sarebbe la proiezione in anteprima, su uno schermo per pochi, della serata di oggi. Le scene e gli scenari che vedremo e che «La Stampa» ha già visto sono un film coccolato e temuto, atteso e soprattutto amato per anni. Le prove della cerimonia d’apertura dei Ventesimi Giochi Invernali che dallo Stadio Olimpico (l’ex Comunale) salgono pacifiche e convinte, contro ogni fatica - politica e spontanea e organizzata - verso le montagne del Piemonte, il battito di cuore di 4.600 protagonisti delle coreografie, dei 35 mila ignoti vincitori di una rincorsa a cercare, talora pietire, uno dei voucher consegnati con rigore a addetti ai lavori e volontari di queste emozioni sono le «Olimpiadi a casa tua». E non soltanto: sono «le Olimpiadi a portata di mano».
È curioso, rassicurante e inquietante (per il solo fatto di esserci in questa misura) l’apparato di sicurezza. «Lato Nord ok», «Lato Est attenzione», «Udine Pisa (controllo territorio, ndr) vedi quei tre all’angolo di corso Galileo Ferraris»», «Dego Imola 3, tornate su piazza San Gabriele di Gorizia». E poi: ricevuto, controllo effettuato, tutto a posto, li tratteniamo, fra poco i dati. E il questore Rodolfo Poli che non perde una battuta, un passaggio. Sono le comunicazioni più semplici e fuori da codici cifrati e duri da capire. Però è una maglia stretta davvero. No videocamere, no videotelefonini. Fa freddo qui, fa freddo fuori e dentro lo scenario olimpico a mano a mano che il tempo misura l’attesa. Ma il gelo lo dimentichi subito.
Scalderebbe le mani per primo Piero Chiambretti se fosse arrivato alle prove, ma potrebbe esserci oggi. Un palco a forma di cuore (un cuore di persona di fronte a scontri di ideologie e fanatismi) che riserva tutta un’infilata di sorprese, genialità o invenzioni sceniche. Una botola si apre, inghiotte e rilancia fuori i protagonisti di momenti artistici che sono teatro e musica. A pochi metri uno spazio tagliato nel terreno: è ovale, è d’argento, è un lago di stagnola o di sogno, con la brezza dei volontari che sventolano strisce di carta «preziosa». La tribuna degli atleti, certo. E di là, dall’altra parte da dove stai spiando, i cinque cerchi illuminati salgono e scendono, poi si muovono paralleli al pavimento di terra, erba e aspettative. E anche le carrucole sono gioco di Olimpiade.
Dove sono gli atleti, ti chiedi in questo spettacolo che trascina e ti fa attendere. Dove sono uomini e donne? Il passato, le immagini antiche sono lì davanti. Eccolo l’uomo dalle braccia robuste che martella un’incudine, che guardando meglio ti sembra un tamburo. Tamburo magico. Da quei colpi si sprigionano fiamme, lampi, scintille. Non è un ignoto, il mago. E’ Jury Chechi, il Ginnasta Azzurro. Luci, pochi secondi. E otto pattinatori, rosso fuoco nel vestire, scintille che colorano tutto sprizzando lampi dai caschi, scivolano con dolce impeto dalle rampe laterali.
Con loro un centinaio di figuranti. Sono quelli che disegnano il grande cuore. Torino ti avvolgo e ti amo, sembrano dire. Aprono la strada a un bosco, una Storia, una fantasia, una suggestione di terra metropolitana e di monti, alberi che si animano (e che bravi gli uomini-alberi), poi prati e mucche e fiori, suono di corni e tonfo, poi scalpiccio di zoccoli. Le Alpi: gli artisti hanno dipinto le mucche, le coccolano, in un girotondo, fiocchi di neve che sono donne che scendono dall’alto. Si arrampicano in questa fiction così reale gli emblemi della montagna, i pazienti sfidanti di una salita dura su roccia e neve. E la fatica di chi sale sta portandoci gli atleti. Il protocollo. Nelle emozioni c’è anche il protocollo che si affaccia. Saluti di autorità. E, doverosa e perfino tenera, la voce di chi - a partire da Evelina Christillin fino alle autorità politiche - ringrazia con la memoria l’avvocato Giovanni Agnelli, per la dichiarazione ufficiale d’apertura dei Giochi.
Nei Giochi fa capolino e si spande il Rinascimento: da una Bocca della Verità escono danzatori, salgono a un cielo da scoprire mongolfiere, smisurati cerchi colorati. Otto pianoforti riempiono l’aria. Stanno accogliendo l’étoile della Scala, Roberto Bolle, che irrompe lacerando l’enorme scritta bianca sullo sfondo messa lì ad aspettarlo con il suo nome. Cambio scena: parata di carrozze e risciò.
E i ginnasti danzatori del gruppo Kataclò roteano legati a funi. Che faranno? In un crescendo di suoni, di sfide musicali, forse lacerano l’aria e la bevono fino a unirsi e divenire il simbolo di pace, enorme colomba bianca. Lì c’è il palco e qui il laghetto. D’improvviso una Ferrari monoposto è annunciata come in una danza classica o in un rock attento. Rombo di motore, crescente, che poi scivola lontano e sorride a voci di atleti e giudici (Giorgio Rocca per gli azzurri). Le voci aspettano una voce. «Vincerò» oppure «Va pensiero». Nelle prove dalle basi musicali si percepisce un omaggio di Luciano Pavarotti. Verso la vittoria della pace, verso il braciere potrebbero muovere Tomba e Belmondo, fino a un volantario che taglia un corridoio per salire ai 57 metri. E’ la sorpresa. Poi emozione e ufficialità diventano un unico, un viaggio tra politica, storia, ragazzi che nulla hanno ancora studiato. E’ la modella vestita in bianco che porta la bandiera italiana ripiegata in tre parti, la consegnerà questa sera a Carlo Azeglio Ciampi, il Presidente. L’Inno di Mameli «inquadra» un bambino e il «nonno» del Quirinale. E tutta l’attesa passata e quella da gioire.